Innovare o scomparire? Perché l’innovazione è necessaria ma difficile da conseguire
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Una recente inchiesta condotta su più di quattromila Amministratori Delegati di aziende di 105 paesi del mondo ha rivelato che il 40% degli amministratori ritiene che nel giro di dieci anni al massimo il loro business non sarebbe più sostenibile qualora non cambiassero la strategia in essere. Gli altri manager intervistati, invece… sono dello stesso parere, ma si danno più tempo: pensano che ci vorranno più di dieci anni per uscire di scena in caso di inerzia (https://www.pwc.com/gx/en/issues/c-suite-insights/ceo-survey-2023.html)
Innovare o scomparire
In altri termini, tutti riconoscono che sia necessario innovare per mantenersi competitivi o che, in alternativa, si è destinati scomparire. E probabilmente questo è ancora più vero oggi di quanto lo fosse ieri. McKinsey ha mostrato come negli ultimi anni l’1% delle imprese più profittevoli abbia sostenuto spese di Ricerca e Sviluppo quasi tre volte superiori alla media, mentre vent’anni fa le aziende coi maggiori profitti avevano una spesa che era meno di due volte superiore alla media delle altre aziende (McKinsey Global Institute, “Superstars. The dynamics of firms, sectors, and cities leading the global economy”, Discussion Paper Ottobre 2018).
L’effetto dell’innovazione sulla performance aziendale si nota anche, e forse soprattutto, nei momenti di crisi. Diversi studi hanno rivelato che le imprese più innovative sono quelle che hanno reagito meglio alla crisi del 2020 (Si veda, tra gli altri, https://media-publications.bcg.com/BCG-Executive-Perspectives-Race-for-Innovation.pdf). Lo stesso può dirsi per la crisi del 2007-2009: le imprese che non hanno tagliato le spese in Ricerca & Sviluppo, anche a fronte di un maggior costo del denaro, sono state quelle che hanno ottenuto le migliori performance nel periodo successivo alla crisi (C. Flammer, I. Ioannou (2021). “Strategic management during the financial crisis: How firms adjust their strategic investments in response to credit market disruptions”. Strategic Management Journal, Vol. 42, Issue 7).
Questi risultati sottolineano che l’innovazione paga; anzi è necessaria, perché porta a due vantaggi fondamentali per le imprese. Uno è evidente, l’altro è meno scontato (P. Geroski, S. Machin, J. Van Reenen (1993). “The profitability of innovating firms”. RAND Journal of Economics, Vol. 24, Issue 2.).
Il primo vantaggio è quello che attraverso le innovazioni di prodotto le imprese possono ottenere prodotti unici, di maggior qualità e appeal, per i quali i clienti sono disposti a spendere di più. Allo stesso tempo, attraverso le innovazioni di processo, si possono ottenere costi di produzione più bassi. In questo modo, le aziende possono creare un vantaggio competitivo.
Il secondo beneficio dell’innovazione, probabilmente meno ovvio, è quello di rendere le aziende più ricettive verso la conoscenza esterna e più resilienti nei momenti di crisi. Il processo stesso attraverso il quale l’innovazione viene generata, unito al fatto di investire nell’innovazione in maniera costante nel tempo, innescano un processo di apprendimento in grado di trasformare le competenze delle imprese, rendendole maggiormente capaci di cogliere ‘spillovers’ di know-how dall’ambiente circostante e meno sensibili agli shock macroeconomici. Quindi più capaci non solo di inventare, ma anche di reinventarsi.
Ma innovare non è facile
Se è quindi evidente che saper innovare è fondamentale, è altresì evidente che innovare non è facile. Perché è così difficile? Nel corso degli anni, sono state proposte diverse spiegazioni. Qui vorrei focalizzarmi solo su una di esse.
Una efficace gestione dell’innovazione richiede che i vertici aziendali siano in grado di pensare contemporaneamente al presente e al futuro, e di coniugare lo sfruttamento delle risorse, delle competenze e dei mercati attuali con l’esplorazione delle risorse, delle competenze, e dei mercati del futuro. Eppure, gli stessi Amministratori Delegati interpellati nella inchiesta citata precedentemente,1 riconoscono di non dedicare tempo a sufficienza nella progettazione del futuro, e di non riuscire a bilanciare – in termini di tempo e allocazione di risorse finanziarie – la pressione per la gestione del quotidiano (dai rischi geopolitici alla inflazione) con la definizione di una strategia futura. L’urgenza può allontanare dalle priorità.
Il secondo esempio riguarda la cultura aziendale di una impresa innovatrice. Si sa, tutti preferirebbero lavorare in un’azienda snella, con una organizzazione non molto gerarchica, dove si esperimenta in continuazione ed è consentito fallire. E tuttavia, sebbene queste dimensioni della cultura aziendale abbiano certamente un valore positivo, spesso non portano ai risultati sperati in termini di innovazione se non controbilanciati da una forte leadership, da scarsa tolleranza per la incompetenza e da una forte responsabilizzazione individuale delle persone (Si veda, per esempio, G. Pisano (2019). “The hard truth about innovative cultures”, Harvard Business Review, Gennaio-Febbraio.)
Saper gestire questi e altri trade-off organizzativi non è facile, ma è la base della innovazione strategica di successo.
Fonti
- https://www.pwc.com/gx/en/issues/c-suite-insights/ceo-survey-2023.html
- https://media-publications.bcg.com/BCG-Executive-Perspectives-Race-for-Innovation.pdf
- https://www.mckinsey.com/~/media/mckinsey/featured%20insights/innovation/superstars%20the%20dynamics%20of%20firms%20sectors%20and%20cities%20leading%20the%20global%20economy/mgi_superstars_discussion%20paper_oct%202018-v2.pdf
- https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/smj.3265
- https://www.jstor.org/stable/2555757
- https://hbr.org/2019/01/the-hard-truth-about-innovative-cultures